Tutto è iniziato, sabato 7 Ottobre, un gruppo di terroristi di Hamas ha lanciato un attacco ad Israele che non ha precedenti.
Colpiti kibbutz, uccisi numerosi israeliani, catturati bambini, donne, anziani, uomini e portati all’interno della striscia di Gaza come ostaggi.
La risposta di Israele non si è fatta attendere ed è cominciata una complessa controffensiva che vede l’esercito israeliano impegnato su più fronti. L’ Unione Europea e gli Stati Uniti si sono schierati a fianco di Israele.
L’Italia vive questi momenti con il fiato sospeso, ben 10 italo-israeliani con doppia nazionalità, sembrano essere nelle mani dei terroristi, in Francia si è già avuto l’azione di un lupo solitario che ha ucciso un insegnante in una scuola di Arras.
Pubblichiamo l’ intervista al Generale Giuseppe Morabito Membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation, sulla sempre più delicata situazione tra Israele e la striscia di Gaza.
L’Iran sembra aver sostenuto l’attacco e contributo a organizzarlo. Se ciò fosse confermato, crede possa essere uno smacco per l’amministrazione Biden che si appresta ad affrontare le elezioni 2024?
Dire che esiste il sospetto che l’Iran sia dietro o mandante all’attacco di Israele non è, a mio parere sostenibile in quanto appare una terribile certezza il sostegno iraniano all’operazione di Hamas. In Israele sono arrivati subito a tale conclusione. L’amministrazione Biden è in difficoltà non soltanto per la situazione d’Israele ma anche per la situazione in Ucraina. Il Presidente Biden difficilmente si presenterà alle elezioni 2024 con entrambe le problematiche irrisolte o senza una via di soluzione. Dire che è uno smacco è affrettato ma dire che è un grave problema è una certezza.
La risposta dell’Europa all’attacco di Hamas è sufficiente?
La comunità europea ha dato pieno sostegno allo Stato di Israele. Per quanto riguarda il ruolo di moderatore tra palestinesi e israeliani sono purtroppo ancora presenti divisioni interne tra i vari paesi dell’Europa che impediscono una chiara azione politica unitaria nell’area mediorientale. Al momento la posizione dell’Unione Europea è quella corretta, anche se bisognerà vedere cosa succederà nei prossimi giorni con l’isolamento totale della striscia di Gaza e la decisa azione israeliana. C’è chi vorrebbe far passare il terrorista da aggressore a vittima non giustificando l’offensiva a Gaza e le sue conseguenze.
Secondo lei, l’Italia con la presenza di un contingente Onu di soldati in Libano rischia di essere trascinata nel conflitto o di essere considerata paese ostile dai capi di Hezbollah?
Il contingente italiano opera sotto bandiera ONU e, a mio parere, deve continuare la sua attività d’interposizione e soprattutto continuare ad avvicinare sia Hezbollah sia l’IDF e capire quali sono le loro intenzioni e, conseguentemente, gestire la situazione nell’area. Dovrebbe essere considerata la possibilità del ritiro del contingente ONU solo se la condizione diventasse di guerra aperta. La sua presenza e la sua attività può essere un deterrente a un eventuale allargamento del conflitto a nord di Israele. Al momento c’è preoccupazione ed è comprensibile per le famiglie dei soldati italiani che sono in Libano, ma non credo assolutamente che le forze ONU possano essere coinvolte negli scontri, per ora a bassa intensità.
Il conflitto Israeliano-Palestinese aumenta il rischio di attacchi terroristici in Europa ed anche nel nostro Paese?
Sono già cominciate le azioni dei cosiddetti Mavericks, persone isolate, che si fanno influenzare dagli eventi e sviluppano personalmente, com’è successo in Francia, delle azioni contro le comunità locali, ma sono casi isolati. Per quanto riguarda l’azione di cellule dormienti di terroristi queste sono sempre possibili ma tutti i Paesi che ritengono di avere questa presenza sul territorio considerata pericolosa hanno già attivato le azioni di prevenzione. In Italia è stato fatto sapere che più di alcune migliaia di obiettivi sono monitorati. Logicamente le persone considerate di maggior pericolosità sono controllate ma non si possono escludere, come già detto, azioni di persone isolate influenzate dagli eventi che prendono iniziative personali. Non credo, e spero che non si verifichino, azioni di gruppo come avvenuto al tempo del confronto con i terroristi di Isis.
In questi giorni molte piazze di città italiane sono state palcoscenico di manifestazione pro Palestina. La Radicalizzazione e il reclutamento rappresentano un reale pericolo in Italia tra i giovani italiani e gli immigrati di seconda generazione?
In questi giorni, in Italia, si sono svolte manifestazioni pro Palestina così come a favore di Israele; ciò dimostra che siamo una grande democrazia che consente a tutti di manifestare sia per l’una sia l’altra parte purché’ non si scenda a livello di violenza. Per quanto riguarda la radicalizzazione e il reclutamento non sono legati ai fatti avvenuti a Gaza. Sfortunatamente ci si confronta con un fenomeno costante che continuerà a essere anche dopo che gli echi dell’attacco terroristico si saranno in parte placati. Il reclutamento è possibile che veda un incremento temporaneo mentre per quanto riguarda la radicalizzazione dei giovani di seconda generazione questa è da attribuire alla riuscita delle politiche d’integrazione così come maggiormente al ruolo dell’educazione data dalle singole famiglie accolte in Italia in passato. Se ben integrati difficilmente intraprenderanno azioni contro i cittadini italiani.
L’operazione che Israele sta portando avanti nella striscia di Gaza è rivolta a catturare i capi di Hamas? Oppure a raggiungere una soluzione definitiva perché la striscia di Gaza non sia più una minaccia per il popolo ebraico?
Per quanto riguarda Israele e come dichiarato sin dall’inizio della reazione all’attacco, gli israeliani intendono arrivare alla neutralizzazione dei terroristi di Hamas e quindi rendere, incapaci gli stessi di poter re-intraprendere nuove azioni terroristiche nei confronti dello Stato d’Israele. Ciò può avvenire solo se gli israeliani riusciranno a catturare i capi di Hamas al fine di neutralizzare la linea di comando ed anche rendere inutilizzabili tutte le basi di partenza dei miliziani sul territorio di Gaza impedendo loro qualsiasi futuro attacco a Israele. Occorre innanzitutto catturare i capi di Hamas presenti nella striscia di Gaza e successivamente neutralizzare i comandanti che si nascondono in altri paesi amici dei terroristi. In poche ore/giorni sapremo se le forze israeliane avranno successo.
Dopo la striscia di Gaza, crede che Israele punti a colpire anche l’Iran reputandolo un paese che ha organizzato o addestrato i terroristi di Hamas? Se fosse cosi, gli Stati Uniti saranno al loro fianco?
Israele ritiene, a ragione, l’Iran il principale sostenitore di Hamas. Gli Stati Uniti sono il principale alleato di Israele e lo stanno dimostrando. Occorre, sempre, ricordare l’influenza della comunità ebraica negli Stati Uniti e, nello specifico, sull’amministrazione Biden in vista delle prossime elezioni presidenziali. Gli Stati Uniti sosterranno Israele e al tempo stesso cercheranno di evitare, nel breve tempo, un attacco all’Iran perché si verrebbe a determinare un rischioso allargamento del conflitto. Tale allargamento, per molti, era nelle intenzioni dei terroristi, così come bloccare il processo di pace.
Secondo lei, al termine di questa guerra, come si ridisegnerà il Medio Oriente?
La giustificata risposta di Israele all’attacco di Hamas aggiunge complessità alle relazioni nel Medio Oriente. La reazione di Israele sembrerebbe poter pregiudicare gli accordi di Abramo, avviati dal Presidente Trump, e la ripresa delle trattative per una pace duratura in Medio Oriente risulterà difficile e non potrà non considerare le conseguenze che l’attacco terroristico di Hamas .
Alcuni hanno paventato l’idea di far entrare Israele nella Nato. Lei crede sia possibile? Quali sarebbero le conseguenze di una tale decisione e reazione dei Paesi medi Orientali?
E’ difficile anche sostenere l’ipotesi dell’ingresso di Israele nella Nato. L’Europa e gli USA si sono subito schierati a supporto di Israele quale unica democrazia del Medio Oriente ma si tratta di un’ipotesi quantomeno remotissima se si parla di NATO. Per quanto riguarda le reazioni dei Paesi Medio Orientali non sono da considerarsi per quanto appena detto.